Addio Ponte Morandi


Posted On Giu 24 2019 by

Ho fatto una foto al troncone del Morandi mentre passavo con il treno. Ho fatto ancora una foto per trattenere un ultimo ricordo del gigante interrotto che tra pochi giorni sarà buttato giù per sempre con una grande esplosione.

Non posso non pensare che quel ponte ha accompagnato la mia vita, fin dall’infanzia, quando con papà salivamo a piedi fino a Belvedere e da lì osservavamo il brulicare delle lavorazioni in corso. E poi che grande importanza ha sempre avuto per me quel lungo viale alberato che passava sotto il ponte, quella via con quel nome strano con la k finale che ci metteva in contatto, quasi magicamente, con la grande città. Solo qualche anno più tardi avrei scoperto che quel nome Walter Fillak apparteneva ad un ragazzo, un partigiano morto durante la Resistenza e così tutti quei nomi delle vie lungamente percorse per andare a scuola o semplicemente per bighellonare: Canepari, Jori, Ulanowsky… e tanti altri. Perché la Resistenza qui in queste terre polceverasche ha avuto un ruolo decisivo ed ha pagato un pesante tributo di giovani vite umane.

Quella via alberata, con le case dei ferrovieri da un lato e la ferrovia dall’altro senza un negozio, senza una vetrina da guardare l’avrò percorsa milioni di volte sul bus, in auto, a piedi. Tutte le volte che passavo sotto la grande A del ponte guardavo lassù ed ascoltavo il rumore di ruote che correvano veloci sulla mia testa. Sopra il ponte, devo dire la verità, ci sono stata poche volte sempre da passeggera e mai come autista. Non so perché, però quelle poche volte, mi è parso di provare un senso di euforia misto ad ansia…

Del ponte Morandi ho sentito parlare a lungo quando ho iniziato a fare politica attiva. Se ne è parlato tanto, ovviamente, durante tutto il faticoso percorso del dibattito sulla Gronda… correva l’anno 2009 ed è stato lì che ho iniziato a chiamarlo per nome – Morandi – prima era solo il ponte. E poi nove anni dopo, in una vigilia temporalesca di Ferragosto il ponte cade giù: incredulità, sconcerto, paura, angoscia, orrore, dolore non so quale altro termine appropriato usare per descrivere le emozioni. Mi sono chiesta infinite volte cosa avranno provato quelle persone che avevano appuntamento col destino sul Morandi. Cosa avranno pensato mentre si sono trovate all’improvviso su un tappeto volante impazzito fatto di asfalto e cemento, cosa avranno visto in quei lunghi attimi attraverso i finestrini rigati di pioggia, cosa avranno capito. Perché la vita è anche questo e ti chiama in causa mentre fai le cose di tutti i giorni, mentre pensi al lavoro o alle vacanze, mentre sgridi il bambino che si agita sul seggiolino, mentre fai una carezza al tuo fidanzato, mentre chiami al cellulare tua madre per dirle che è tutto ok siete appena partiti… C’è un istante preciso che fa la differenza tra non essere ancora sul ponte o essere appena passati ed essere sopra o sotto il ponte proprio in quel minuto esatto in cui l’anima di ferro e cemento decide di spezzarsi.

Il grande ponte era malato ma la cura non è stata sufficiente né appropriata. Forse la giustizia chiarirà le responsabilità e le colpe o forse no ed anche il Morandi finirà nel novero dei grandi ed insoluti misteri italiani.

Quando crolla un ponte si interrompe la comunicazione tra due parti che prima erano connesse, ma quando è caduto il Morandi si è spenta la luce su tutto il mondo che viveva lì sotto e lì a fianco. E’ calata una cesura tra Certosa e Campasso, tra Rivarolo e Sampierdarena, tra la Valpolcevera ed il resto di Genova. Questo pezzetto di Liguria ogni tanto torna alla ribalta, vuoi per l’alluvione, vuoi per il crollo di un antico chiostro, oppure per lo sversamento di petrolio nel Polcevera ed infine per un viadotto autostradale che viene giù. Sarà mica un posto sfigato? Tentano di sdrammatizzare alcune conoscenze non liguri. Non so se qualcuno abbia lanciato un maleficio ma certo si tratta di un territorio in cui c’è stata poca cura ed attenzione da parte della politica e che invece è molto amato da chi ci abita, da chi lo vive con un senso di appartenenza e di identità che non è solo campanilismo ma vero e proprio affetto.

Quando mi chiedono di descrivere la Valpolcevera a volte non trovo le parole. Mi piacerebbe saper raccontare la bellezza di quei tramonti sul mare visti da Begato, oppure di quelle colline boscose che da Murta a Gimignano nascondono orti e vigne a ricordo della vocazione agricola di un tempo; vorrei poter descrivere con minuzia di particolari i tesori nascosti nelle Chiese; desidererei narrare la fatica ed anche la bravura degli insegnanti, degli operatori del sociale, e di tutto il mondo del volontariato delle tante associazioni, di tutte quelle persone che ogni giorno fanno della “cura” di qualcosa e di qualcuno il proprio obiettivo di vita.

Si dice che Genova sia una città speciale, sui generis; città policentrica nata dalla fusione progressiva delle antiche autonomie comunali, iniziata sul finire dell’800 e completata in epoca fascista. Per questo a quasi un secolo di distanza, quando usciamo dal nostro quartiere noi non andiamo “in centro” ma andiamo a “Genova”, questa città così vicina e così distante, soprattutto ora, dove forse non è così facile rendersi conto di cosa è stato, e di cosa sarà il Morandi per noi, emotivamente, economicamente e praticamente nella vita di ognuno di noi.

La Valpolcevera divenuta a cavallo tra ‘800 e ‘900 terra di industrie anche fortemente inquinanti, ha accolto le ondate migratorie dal Sud dell’Italia che portavano con sé forza lavoro, abitudini diverse ed anche purtroppo il malaffare della mafia o della ‘ndrangheta. Anche mio padre dopo aver lavorato in mezzo mondo, negli anni ’60 del secolo scorso, decise di trasferire la famiglia dalla Calabria a Rivarolo. Non è stato mica facile essere terroni a quei tempi. Pur essendo genovese per jus soli, ho iniziato a sentirmi italiana solo quando è iniziata l’immigrazione di popolazioni ancora più povere: albanesi, rumeni, marocchini… osteggiati oggi anche dagli stessi terroni di un tempo ormai più o meno integrati.

La Valpolcevera terra di operai anzi di proletari, terra “rossa” dove il PCI dei tempi gloriosi aveva percentuali da paura, ha vissuto l’epoca post-industriale senza trovare una propria vocazione. Chi ha governato per decenni la città e la regione ha creduto di avere un credito inespugnabile e non si è accorto invece di essere in grande debito verso un territorio dove sono stati chiusi i piccoli ospedali senza avviare una vera e propria riorganizzazione dei servizi socio-sanitari come dimostra il fatto che non esiste ancora una casa della salute né il grande ospedale (che un tempo doveva essere della Valpolcevera e poi è diventato del Ponente) tanto sbandierati ad ogni campagna elettorale; un territorio dove, purtroppo, le uniche ipotesi di rigenerazione urbana e di utilizzo delle aree dismesse vedono sempre la presenza di centri commerciali o aree di logistica perché qualcuno ha addirittura pensato alla Valpolcevera come “porto lungo”.

Ho assistito qualche giorno fa all’assemblea pubblica a Certosa e ho visto un Sindaco seccato e infastidito dagli interventi preoccupati di una cittadinanza tutto sommato composta (niente a che vedere, per dire, con altre assemblee pubbliche del passato tipo quelle sulla gronda o sul terzo valico). Un Sindaco per niente empatico che ritiene di avere la verità in tasca e chisseneimporta se la gente chiede rassicurazioni sulla qualità dell’aria che respiriamo, che respireremo il giorno dopo l’esplosione del Morandi e che respireremo nei prossimi mesi ed anni durante tutto il cantiere del nuovo ponte. Lo sa il sindaco – responsabile della salute dei cittadini – che già da prima del crollo del Morandi in Valpolcevera ci si ammala di più e per gravi patologie oncologiche? E poi perché abbattere il ponte in giorno lavorativo? Perché non ascoltare le migliaia di lavoratori che da tutta la Valpolcevera dovranno raggiungere il posto di lavoro? Perché non capire le istanze delle attività produttive e commerciali del territorio già duramente provate da un anno di post Morandi? Quesiti leciti a cui non è stata data una risposta adeguata.

E allora addio ponte Morandi. Nascerà un nuovo ponte, nascerà perfino un parco fra Campasso e Certosa sulle macerie del Morandi, ma il futuro della Valpolcevera è ancora tutto da scrivere.

Last Updated on: Giugno 24th, 2019 at 7:19 pm, by Iole Murruni


Written by Iole Murruni


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